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Ken Brady - Gigante Gentile

Con la scomparsa di Ken Brady la pallacanestro di casa nostra perde uno dei pezzi portanti del periodo forse più storico dello sport ticinese, quello del “boom” del basket.


l ricordo risale a quando la barba era ancora desiderio e non fastidio. A un campo di allenamento estivo, o qualcosa si simile, si presenta un omaccione infinito, tende al cielo come lo sport che ama e insegna, lascerà un ricordo vivo e visibile, come i lividi dei suoi blocchi, quelli per cui quel giorno ha portato a lezione un manipolo di ragazzini.

“Lui è Ken Brady, uno dei giocatori più forti mai venuto qui, erano gli anni del boom”.

Lo presentano così. Ma a quell’età “boom” è una parola da fumetto, onomatopea disneyana se ce n’è una.


Per chi è nato negli anni 80, magari nella seconda metà, il nome Ken Brady è sempre stato sinonimo di tempi andati, quelli in cui il basket (ticinese e svizzero) era culla e trampolino per talenti oggi come allora inarrivabili, rilucenti solo negli occhi (lucidi) di chi c’era e ancora ricorda, e, per questo, anche valida spiegazione del perché chi oggi piange l’amico, compagno e avversario, spesso non ha che amari giudizi per quel che oggi propongono ogni fine settimana i nostri parquet.

Il Gigante Gentile lo chiamavano, perché una volta fuori dal campo smussava gli spigoli in bella vista sul parquet.

E nel Ticino, una volta appese le scarpette al chiodo, aveva trovato una casa in cui trascorrere il “buen retiro”.


Per ricordarlo, abbiamo chiesto a tre voci della nostra pallacanestro di raccontarci chi era, e cosa è stato, per loro, Ken Brady.


Mauro Regazzoni (responsabile tecnico TicinoBasket): “Non ho mai avuto a che fare con lui direttamente in campo, ma da spettatore come non ricordare questo gigante di 210 centimetri e un fisico come se ne sono visti pochi sui nostri campi. Se devo andare a pescare un ricordo tra i tanti, il più nitido è forse quello legato ad una finale di Coppa svizzera a Renens nel 1975, Federale contro Friburgo. Dopo pochi minuti di gioco si vede Brady a centro area con due avversari, e non due piccoletti, letteralmente aggrappati alle sue braccia; se ne liberò con un solo movimento, facendoli proprio volare via, e da quel momento il suo fu in pratica uno “show” fino a fine partita (la Federale vinse quella Finale 89-73 ndr.). Fu veramente impressionante. Ricordo poi come fuori dal campo fosse una persona squisita, molto molto attaccata al nostro cantone”.


Renato Carettoni (assistente allenatore Lugano Tigers): “Sicuramente è stato uno degli avversari che ho più rispettato, sia per il valore che aveva da giocatore, non lo fermavi certo solo con un 1 vs 1 ma dovevi sempre cercare di inventarti qualcosa di nuovo, sia per il valore della persona, una delle più simpatiche incontrate, di quelle che appena finita la partita non erano più un avversario ma un amico. Parlava anche dialetto! Se dovessi stilare una lista, per me è stato tra i migliori 5 stranieri mai passati in Ticino. Un ricordo particolare è sicuramente quello legato ad una famosa foto in cui lo si vedeva schiacciare con due palloni. Voglio dire, ancora oggi non è una cosa evidente, e lui ci riusciva già allora con facilità. Un'immagine direi emblematica”.


Dario “Mec” Bernasconi (giornalista La Regione): “Ken è stato mio compagno di viaggio per praticamente tutta la mia carriera cestistica. Come avversario prima, e come compagno di squadra poi, un anno a Bellinzona in serie A, prima di averlo sotto di me una volta passato in panchina sia con il Lugano che con il Viganello. E proprio con il Viganello ricordo una promozione nella massima serie quasi miracolosa, con una squadra di soli giovani e lui là in mezzo a guidarli tutti. Ma il nostro rapporto è andato ben oltre il basket, è stato come un fratello, una persona e un compagno di spogliatoio speciale, si integrò subito con il tessuto sociale ticinese, con lui potevi parlare di tutto. E poi in campo era semplicemente una potenza, un misto di tecnica e velocità impressionanti per un 210 cm, penso di averlo visto schiacciare in qualsiasi modo, una volta in allenamento, è la verità, l'ho visto schiacciare di gomito; ha fatto rimbalzare la palla per terra, è salito e l'ha messa dentro di gomito, così, la cosa più facile del mondo. Con un'altra testa poteva tranquillamente giocare in NBA, ma Ken era così, per lui non c'era solo il basket, amava le cose belle della vita e amava godersele. L'ho detto, una persona speciale e un gran compagno di vita”.



Qui il link alla trasmissione Sport Non Stop del 2011 con ospite Ken Brady (RSI, 19.11.2011)



Qui invece il link al servizio della RSI sulla finale di Coppa svizzera del 1977 a Mezzovico, apice del "boom"








Foto:

rsi.ch

Robert Kalmbach / Bentley Historical Library



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